I "LAMENTI" E L' "ECCE HOMO"

"Lamenti" erano suggestive cantilene, caratterizzate da ardite e virtuosistiche escursioni vocali del solista o dei solisti accompagnati da un coro che ripeteva  in diverse tonalità le vocali, del tutto incomprensibili a causa delle numerose trasformazioni che le parole latine hanno subito nel tempo.
Cantati a più voci nelle chiese e per le strade, richiamavano antichi versi latini del "Vassillo" (Vexilla regis prodèunt inferni, avanzano i vessilli del re dell'Inferno), della "Via Crucis" e dello "Batti e 'Mmatri" (Stabat Mater).
A tal proposito purtroppo è da precisare che nessuno ha mai codificato questi canti, che nei tempi passati venivano tramandati all'interno delle Confraternite, quando gli associati trascorrevano nelle varie sedi tempi di preghiera e di istruzione religiosa molto prolungati.

È venuta meno anche, ma questo da alcuni anni prima della seconda guerra mondiale, la rappresentazione del Cristo denominata «Ecce Homo» con la partecipazione alla processione dei penitenti della Compagnia dei Flagellanti o della Disciplina, di antica tradizione legati alla Cappella del Cristo alla Colonna della Chiesa dell'Annunziata.
La statua del Cristo era spogliata dalle vesti e coperta di un mantello rosso seguito da questi pubblici penitenti o «battenti» che, durante la proces­sione, si battevano con delle catene le spalle fino al sangue.
La penitenza era praticata per circa sette anni per essere liberati dai setti vizi capitali e quindi dalla dannazione eterna.
In merito scrive anche B. Radice che  "un tempo chiudevano la processione noti ladri, farabutti e simili che flagellavansi a sangue".
"Fino a pochi decenni del primo Novecento" - continua - "«un giovinetto, nudo, con un brindello di porpora in dosso, corona di spine in testa, e la canna in mano, impia­gato di cinabro, rappresentava l'Ecce Homo, oggetto di commozione al popolino, che piangente lo mostrava ai bambini. Gli scolari esterni del Collegio Capizzi con lancie, spade, elmi, sciarpe antiche di tutti i colori rappresentavano l’esercito romano. Ora tutto è scomparso".
E, continua Giuseppe Zingali, «...il patrimonio antropologico ed etnologico che la tradizione brontese ha raccolto, in passato assumeva diverse espressioni di sacra rappresentazione, molte delle quali, però, soprat­tutto le più antiche sono andate perdute, mentre quelle rimaste sono state soggette per la maggior parte ad un rimaneggiamento ed ad una trasfor­mazione per cui, tante volte, antiche ed arcane simbologie smar­riscono l'elemento caratterizzante decadendo in puro folclore».

- Testo a cura di Leonardo Sciascia, tratto da "La corda pazza, scrittori e cose di Sicilia", Adelfi Edizioni, Milano 1991.